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Prof. Ing.

Pietro Pedeferri

Estratto dal ricordo del prof. Luciano Lazzari Nel '68 aveva conseguito la libera docenza e gli era stato confermato l'incarico dell'insegnamento per poi nel '73 essere stabilizzato assistente di ruolo e poi confermato. Pietro però ritiene di non dover aspettare per la cattedra di ordinario e così nell'81 vince la cattedra a Bari, dove si trasferisce per il tempo appena sufficiente per svolgere l'attività didattica. Nell'83 rientra al Politecnico di Milano come ordinario di Corrosione e protezione dei materiali metallici. Alla attività di ricerca associa quella di consulente industriale per la Snam e per l'industria in generale. Alcune vicende sono gustosamente raccontate nelle letture che accompagnano l'ultima edizione del libro di corrosione, uscita nel 2007 a cura di Polipress, la casa editrice del Politecnico voluta dal Rettore Giulio Ballio. Negli stessi anni ha continuato lo studio della elettrocolorazione del titanio, ha messo a punto un metodo per la visualizzazione dei fronti d'onda liquidi e di altri processi chimici e chimico-fisici altrimenti invisibili, ha studiato le proprietà fotoelettrochimiche del titanio ossidato e il suo comportamento come elettrodo per la fotoelettrolisi in celle solari, il comportamento di anodi di titanio attivato con vari ossidi metallici in ambienti cementizi. La ricerca e le scoperte. I suoi interessi nella ricerca sono focalizzati sulla corrosione localizzata degli acciai inossidabili, la protezione catodica, la corrosione nel corpo umano, la corrosione sotto sforzo negli ambienti petroliferi. Oltre alla attività di docente, apprezzato e amato dagli studenti, Pietro ricopre anche importanti ruoli istituzionali, prima come membro del consigli di amministrazione del Politecnico ('74-'86), poi come Direttore di Dipartimento ('93-'99) e infine membro del Senato Accademico (2001-04). Negli stessi anni, a cavallo tra il settanta e l'ottanta, passa alcune estati in Somalia, Mogadiscio, presso l'Università dove insegna metallurgia e corrosione. Esperienze che lo arricchiscono sia sul piano professionale sia su quello artistico: in molti quadri che comporrà grazie alla tecnica del tutto originale che via via perfezionerà fino a padroneggiarne magistralmente, saranno presenti gli intensi colori dell'Africa. E durante quei soggiorni incontrerà anche Marina, la sua seconda moglie. A metà circa degli anni ottanta, rimane affascinato dalle proprietà del calcestruzzo e in particolare dal comportamento alla corrosione delle armature metalliche di rinforzo. Comincia un paziente e meticoloso studio dell'argomento; due letture lo catturano: il libro di Tuutti5 e l'articolo di Arup6, del quale è anche amico. Arup aveva pubblicato un articolo dal titolo evocativo: il potenziale (delle armature del calcestruzzo armato) ha una storia da raccontare, e la storia è ancora una volta elettrochimica. Dà inizio a una attività di ricerca sul calcestruzzo e avvia un laboratorio, che diventerà un suo fiore all'occhiello, in cui comincia a sperimentare la nuova attività sperimentale. Dalla sua, rispetto ad altri ricercatori di provenienza dall'ingegneria civile-edile, ha la base solidissima dell'elettrochimica e così diventa punto di riferimento soprattutto nei convegni dove il suo parere è sempre il più ascoltato e rispettato. Da questo lavoro di ricerca nascono varie scoperte originali. Nel 1991, conia il termine "prevenzione catodica" derivato da una sapiente interpretazione delle condizioni protezione catodica per passività perfetta e imperfetta, secondo la definizione data da Pourbaix. Con la prevenzione catodica, ossia con l'applicazione della corrente di protezione catodica su struttura nuova, quando la armature sono in condizione di passività, si ottengono due importanti risultati pratici: un risparmio di corrente e un aumento significativo della soglia critica di concentrazione dei cloruri, responsabili dell'innesco della corrosione delle armature. Nell'applicazione pratica della protezione o della prevenzione catodica alle strutture in calcestruzzo armato occorre fare attenzione alle possibili condizioni di insorgenza di infragilimento da idrogeno degli acciai ad alte caratteristiche meccaniche quando il potenziale degli stessi dovesse essere troppo negativo per eccessiva corrente o anche per eccessiva disuniformità di distribuzione; questo problema angustiava Pietro, perché capiva che gli utilizzatori di quei sistemi di protezione non possedevano la sufficiente sensibilità per trattare o meglio convivere con tale potenziale problema. Pietro citava spesso i disastri avvenuti un po' in tutto il mondo a causa delle rotture improvvise di tali acciai a seguito di fenomeni di corrosione e anche se le condizioni non erano proprio le stesse poiché in quei casi la rottura era stata conseguenza dell'insorgenza di condizioni di corrosione localizzata, in questa seconda possibile eventualità la rottura sarebbe provocata dallo stesso sistema di protezione se progettato male o condotto con scarsa perizia. Pensava che bisognasse trovare un sistema di controllo che garantisse una sicurezza intrinseca; posso testimoniare che Pietro ci pensò a lungo e a più riprese, finché non giunse alla soluzione che si concretizzò in un brevetto: dispositivo automatico per la prevenzione dell'infragilimento da idrogeno dei cavi di precompressione negli impianti di protezione catodica delle strutture in calcestruzzo armato. Così, Pietro Pedeferri diventa un'autorità indiscussa a livello mondiale nel campo della corrosione e protezione delle armature del calcestruzzo armato. Tutte queste esperienze, come era sua abitudine, portarono alla pubblicazione di due libri sulla corrosione delle armature del calcestruzzo armato, prima in italiano e poi in inglese. In questi stessi anni, Pietro dedicava tutti i fine settimana alla pittura su lastre di titanio con la tecnica elettrochimica che aveva messo a punto con dettaglio così scientifico da saper prevedere il risultato dopo i vari passaggi "al buio" ai quali doveva sottoporre quelle opere per arrivare al risultato finale.

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